Il Teròldego Rotaliano
La parola francese terroir sintetizza i molteplici fattori antropici, storici, fisici e chimici, stratificatisi nel tempo, che caratterizzano un prodotto di alta qualità e immediatamente riconoscibile.
Nel caso del vino e in particolare del Teroldego, si può innanzitutto tradurre con la locuzione “luogo caratteristico”, da individuare nella Piana Rotaliana, la più vasta pianura del Trentino, un triangolo con base lungo il fiume Adige e vertice al passo della Rocchetta, delimitata dal Monte Fausior (1550 m) a sud e dal Monte Monticello (1857 m) a nord.
Storia del vitigno
Il Teroldego è attestato in un contratto di locazione del 1383 e quindi in un contratto di acquisto del 1480 nella zona di Trento, estendendo la sua area di coltivazione verso nord: presso Mezzolombardo esiste il toponimo “Teròldeghe”, ricordato dalle fonti a partire dalla metà del XVI secolo, denominazione ribadita nel 1942. Diversi autori accennano nelle loro opere al Teroldego, in particolare Michelangelo Mariani nel 1673, che parlando del vino di Mezzolombardo li definisce “gustosi, e gentili […] dove ne vengono anche di potenti più di quel che si potrìa credere rispetto al sito […] sono vini muti che fanno parlare”. Solo nel 1885 però August Wilhelm von Babo ed Edmund Mach descrissero in modo scientifico l’uva Teroldego: “Il Tiroldico è una vite vigorosa, dai tralci sottoli, nocciola chiaro. Le foglie, medie e tri/pentalobate, sono grigio-verdi, pagina superiore opaca, pagina inferiore molto lanuginosa. Gli apici dei germogli sono biancastri e anch’essi lanuginosi. Il grappolo di questa cultivar è di grandezza media, compatto e di forma piramidale. Anche gli acini son di grossezza media, rotondi, blu scuro, profumati, con buccia spessa ricca di tannino. Il Teroldico vuole una potatura lunga. Il germogliamento è abbastanza precoce. I grappoli, similmente a quelli del Lagrein, possono essere raccolti abbastanza tardi senza marcire”. Si può ricordare infine che la presenza della vite e del vino nella Piana Rotaliana ha origini antiche: a Mezzocorona gli archeologi nel 1988 hanno riportato alla luce un insediamento rurale di circa 1000 mq con ambienti letti come magazzini, al cui interno hanno rinvenuto carboni di viti, vinaccioli combusti e frammenti di anfore per il probabile trasporto e commercio del vino.


Per un'etimologia
S’incontrano denominazioni simili del nome di questo vitigno, per esempio “Teroldega”, “Terodola”, “Teroldico”, “Teroldigo”, ma quella attuale di “Teroldego” si fissò per iniziativa di Guido Gallo (1896-1975), enologo, accademico della Vite e del Vino, presidente della Cantina Rotaliana di Mezzolombardo, promotore di molte iniziate dedicate alla valorizzazione del mondo del vino. In un suo articolo edito sull’“Almanacco Agrario” del 1943 dal titolo “Teroldego o Teroldico?” tracciava in modo poetico la storia di questo vitigno, che geneticamente appartiene all’area veronese-padana e deriverebbe il proprio nome dalla vite “Teroldola”. La denominazione di “Teroldego” è autorizzata con il Decreto del Presidente della Repubblica del 18 febbraio 1971 e successive modifiche: si tratta della prima D.O.C. varietale riconosciuta in Trentino.
Modalità di cultura in vigna
Il Teroldego Rotaliano è coltivato su circa 500 ettari, nei comuni di Mezzolombardo, Mezzocorona e nella frazione di Grumo, nel comune di San Michele all’Adige. L’uva, a bacca nera, produce un vino dal colore rosso rubino intenso, con fragranze di frutta matura, è leggermente tannico, minerale, sapido, si abbina con pietanze di carne arrosti selvaggina funghi. Il nome “Teroldego” nella sua probabile derivazione da “Tiròldola” o “Teròldola”, si collega al modo stesso di coltivazione, che prevedeva l’utilizzo di tutori vivi denominati “tirelle” e l’utilizzo di piante, il gelso in particolare, per sostenere la vite, tanto da parlare di “vite maritata al gelso”. Solo in seguito il sistema d’impianto vide l’introduzione della caratteristica pergola trentina doppia, in grado di sfruttare al meglio la luce solare, permettendo ai grappoli di crescere sotto lo strato fogliare, protetti dalla luce diretta del sole e staccati dalle foglie, in modo da assicurare una maggiore areazione contro l’umidità e una raccolta più semplice.